Quando, a fine Ottocento, il trisnonno di Michele Clemente, Raffaele, venne assunto dalle Poste, probabilmente non sapeva di aver appena dato inizio a una dinastia che avrebbe attraversato 5 generazioni . Lo sappiamo noi, che abbiamo il lusso di poter parlare col suo lontano nipote, a 160 anni di distanza, dipendente delle poste come il padre, Antonio, il nonno Michele, di cui porta il nome, il bisnonno Bernardino e, ovviamente, il trisavolo Raffaele. Tutti postini, in Puglia. Michele è stato il primo a trasferirsi al Nord, a Bologna, dove lavora tuttora nel centro di smistamento, da più di trent’anni . 5 generazioni che hanno visto tutta la storia delle Poste Italiane, lunga esattamente quanto la loro staffetta generazionale. Quest’anno, infatti, la società italiana, entrata nel ventre delle poste francesi, negli anni, festeggia proprio il 160esimo dalla fondazione.
Lei, la sua famiglia e Poste siete cresciuti insieme. Cosa prova, ripensando alle 5 generazioni di Clemente in azienda?
«Sono orgoglioso di far parte di questa società, sia per la storia della mia famiglia, sia per l’anniversario di quest’anno. È un onore davvero».
Cosa è cambiato nei suoi trent’anni di carriera, nel metodo di lavoro?
«La tecnologia. È cambiato davvero tutto, con l’incremento dei macchinari a nostra disposizione. Un tempo si lavorava molto di più con le braccia, oggi prevale la testa, diciamo. Siamo passati da carretti e sacchi a computer e robot che trasportano i pacchi e le lettere, la corrispondenza lavorata, in gergo, da un settore all’altro del centro, autonomamente. Ormai, sono le macchine a fare la maggior parte del lavoro fisico. Gli operatori si stancano lo stesso, bisogna dirlo, ma in altri modi».
E rispetto al tempo di suo padre e di suo nonno, lei che ruoli svolge?
«Io ho un lavoro molto diverso da quello di mio padre. Lui era portalettere, usciva fra la gente, porta per porta per consegnare, mentre io sono un caporeparto, gestisco personale e attività. Mentalmente devo sempre essere sul pezzo, sempre concentrato. Fondamentale, per me, è il rapporto con gli altri operatori, bisogna sapere quanto e cosa chiedere a chi lavora con te. C’è molta psicologia, dietro».
Cosa ha rappresentato per la sua famiglia la realtà di Poste Italiane?
«Vengo da un paesino dove c’è ancora tanta disoccupazione. Per noi è stata una grande occasione, qualcosa di davvero importante. È un orgoglio che si è tramandato. Mio padre ha iniziato a insistere da subito, quando ancora era a scuola Mi diceva “dai quando hai finito di studiare fai domanda, mi piacerebbe che portassi avanti la tradizione”. Io sorridevo, pensavo non fosse facile. Alla fine, però, ha avuto ragione lui».
«Sono partito dalla Puglia e non è stato facilissimo, sai, lasciare il mare… Mi ha sostenuto mio padre, sia economicamente che moralmente. All’inizio non conoscevo nessuno, non sapevo da che parte girarmi, davvero. Ormai sono 30 anni che sono qua, anche se all’inizio pensavo solo a tornarmene a casa, perché fra quello che guadagnavo e quello che spendevo per vivere c’era poca differenza. Mi dicevo: questo gioco non vale la candela»
«Giù un lavoro del genere non c’è, o fai il postino o stai in ufficio. A me piace essere attivo, mi piace la tecnologia, avere a che fare con gli operatori. Qua è un viavai bellissimo, abbiamo consegne, scadenze e non si può poltrire mai. Poi ovviamente, ai ragazzi un caffè e una pausa in più la si concede, perché è sempre un dare e un avere».
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