Bologna, le borse «antispreco» fatte con i sacchetti di caffè e le bucce di banana - CorrierediBologna.it

2022-05-13 19:31:01 By : Mr. hu xiao

Emilia Paolicelli con una delle borse Meraky

Che la moda abbia iniziato a rincorrere un’idea di circolarità e riuso, per avviare una rivoluzione sostenibile, è ormai evidente. Che il riciclo su vasta scala richieda tempo, è altrettanto chiaro. Ma esistono nicchie di mercato in cui questo cambiamento è già compiuto. Felpe realizzate con scarti di plastica, scarpe di gomma ricavata da materiale organico, magliette ecologiche. A Bologna, c’è una realtà artigianale che produce borse con sacchetti di caffè e un’eco-pelle ricavata dallo scarto delle banane . Ad immaginare una seconda vita per il materiale di plastica e alluminio in cui i bar tengono il caffè sono state due ex studentesse dell’Università di Bologna, Rosaria Marraffino e Emilia Paolicelli . Astronoma di formazione Marraffino, laureata in scienze politiche Paolicelli. Nel tempo libero creative. «Ciascuna di noi, per conto proprio, ha sempre cercato di trovare nuove funzioni agli oggetti di tutti i giorni . L’idea di utilizzare sacchetti di caffè per realizzare borse è nata un po’ per caso, quando abbiamo trovato una confezione bellissima, che ci ha ispirate. Il materiale è un poliaccoppiato di plastica e alluminio, non riciclabile», spiega l’astronoma, che oggi vive in Svizzera e lavora nell’ambito della formazione . Il brand Meraky è una passione che vale come secondo lavoro. Una sperimentazione che vuole mescolare le tecniche artigianali tipiche del «Made in Italy» ad etica e design.

I sacchetti di caffè vengono lavati, puliti, tagliati a strisce e intrecciati a mano , poi assemblati manualmente e cuciti a macchina. «Nel 2017, dopo vari tentativi, abbiamo messo a punto la tecnica dell’intreccio, che dà al materiale la possibilità di essere più stabile e malleabile . Adatto ad essere trasformato in un nuovo oggetto: una borsa coi manici, una pochette, uno zaino». Inizialmente a queste trame di caffè venivano abbinati scampoli di pelle. «Il contrasto, però, era troppo evidente: la nostra sensibilità verso la riduzione dello spreco e la lavorazione etica del materiale ci ha portate ad abbandonare la pelle - prosegue Marraffino - Così, nel 2020, abbiamo partecipato a un bando europeo, il quale ci ha permesso di incontrare una startup portoghese che faceva al caso nostro. Casa Grigi realizza una sorta di pelle vegana da bucce di banana ricevute dai supermercati a fine giornata . I frutti imbruniti, anziché esser gettati nella spazzatura, servono a creare un nuovo materiale».

Packaging di caffè e scarti di banana si trasformano in borse, «da qui il nome della nuova collezione, Mocha split». «I sacchetti ce li procuriamo da una decina di bar di Bologna che hanno aderito alla nostra causa. Anziché buttare i contenitori, hanno adibito un bidone della spazzatura “speciale” per le borse di Meraky. E ogni settimana passiamo a ritirarne», aggiunge la creativa. Le due socie del brand immaginano il modello e lo disegnano, e il prodotto finale assemblato sotto le Due Torri da artigiani specializzati. Una filiera cortissima, che vuole estraniarsi dal concetto di spreco. «Al momento produciamo solo su ordinazione . Finora abbiamo realizzato un centinaio di prodotti per clienti italiani, svizzeri e alcuni in Portogallo». Ma quante buste di caffè scartate servono per dar vita a un nuovo oggetto? «Per i modelli di borse della nuova collezione, in cui utilizziamo anche la pelle vegana, vengono impiegate dalle 4 alle 5 buste . Nelle vecchie collezioni, fatte interamente in sacchetti di caffè, ogni borsa ne richiedeva anche 30».

I primi passi di un mercato nuovo

È «upcycling» il termine che riassume brevemente l’utilizzo di materiali destinati ad essere buttati e invece prestati a una nuova vita. Un trend in crescita, ma non ancora affermato in Italia . «Il nostro brand nasce dalla voglia di vedere gli oggetti al di là di quello che sono oggi , guardandoli per quello che potrebbero diventare. A ciò, si unisce la consapevolezza di non volere un mondo veloce, in cui la vita delle cose è fatta durare poco, senza pensare alle conseguenze dei nostri sprechi. Nel nostro paese, non c’è ancora un mercato veramente sensibile a questo concetto . Anche se l’idea di artigianato, riuso e filiera corta che proponiamo comincia a suscitare interesse», conclude Rosaria Marraffino.

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