Nonostante l’olio extravergine di oliva accompagni le pietanze più prelibate della nostra tavola, con prerogative di esaltare il sapore dei cibi, esso continua a essere un alimento sconosciuto per la maggioranza dei consumatori: non si conoscono i processi della trasformazione né la metodologia relativa all’analisi sensoriale e, come succede per il vino, poco si sa riguardo al giusto abbinamento dell’olio con le pietanze, nonostante questo prodotto rappresenti una delle eccellenze italiane e ad esso siano dedicati persino musei (di uno ne abbiamo parlato anche qui su IFE).
Fatta questa doverosa premessa, pensiamo sia necessario conoscere le dritte agronomiche e tecniche per fare un olio di qualità: oltre ad avere una buona materia prima, infatti, occorre mettere in atto un sistema di controllo dell’intero processo costruendo un percorso a garanzia della qualità: dal campo al frantoio.
Vi sono diversi modi di produrre olio di oliva, alcuni anche innovativi.
Ciò che conta nella produzione di un olio extravergine di oliva di qualità è il mantenere le caratteristiche del frutto da cui si estrae; pertanto, il prodotto non deve essere manipolato chimicamente, assicurandosi che la composizione acidica, sterolica e fenolica sia armonicamente equilibrata in modo da esaltare le caratteristiche del prodotto finito.
Al riguardo, occorre sapere che l’olio è costituito, per il 98 – 99%, da una parte lipidica, mentre il restante 2% contiene una parte non lipidica.
Produrre un grande olio significa soprattutto conservare le componenti minori dell’olio extravergine di oliva d’oliva costituiti da:
La presenza e la quantità di questi componenti minori nell’olio extravergine di oliva dipende dalle pratiche agronomiche e variabili tecnologiche: la cultivar, il grado di maturazione del frutto, così come il processo di estrazione (in particolare frangitura e gramolazione).
Pertanto, l’attenzione deve essere posta a tutte le fasi: dalla produzione alla trasformazione, nello stoccaggio o nel trasporto o nella scelta dell’impianto di estrazione un errore risulta fatale per modificare il contenuto e il profilo dei componenti fenolici e volatili nell’olio.
Ogni varietà possiede delle proprie caratteristiche genetiche che influenzano la qualità dell’olio, come la quantità e la qualità degli acidi grassi, la presenza di aldeidi e l’entità di polifenoli (o flavor).
Tra l’altro, le varie cultivar hanno caratteristiche ben distintive: oli fragranti, piccanti, dolci, aciduli, ecc. da sempre mescolati non hanno dato oli puri.
Il primo suggerimento da dare è quello di produrre oli extravergine d’oliva monovarietale, quando è possibile, per esaltare il gusto e quindi l’accostamento a questo o a quell’atro piatto.
La cultivar biancolilla, molto delicata, potrebbe essere utilizzata per condire le insalate verdi, mentre per condire carni dal sapore particolare, come la carne alla brace utilizzare la Nocellara del Belìce. Ricordiamo che, una volta scelta la varietà, è importante rivolgere delle cure razionali alla pianta per ottenere una buona e sana produzione di frutti, che diano un pregevole olio.
Le principali operazioni colturali per la produzione di un olio extra vergine di oliva di qualità sono di sicuro le seguenti:
Conosciamone i vantaggi, una per una.
Indispensabile per il mantenimento della sofficità del terreno, per ben aerarlo e inoltre per nettarlo dalle erbe infestanti; si incomincia inoltre ad attuare una minima coltivazione per favorire una riduzione dei costi di produzione e per evitare la costipazione del suolo.
Utile per integrare gli elementi nutritivi del terreno utilizzati dalla pianta, in modo da aiutare la crescita, la fioritura, l’allegagione, la produzione e l’inolizione del frutto.
Consente di migliorare la circolazione dell’aria e la illuminazione della chioma stessa.
Serve a proteggere la pianta da eventuali attacchi di parassiti vegetali e da insetti, tra i quali la dannosissima “mosca olearia”, facendo un uso moderato di prodotti anti parassitari.
Questa operazione comprende la scelta del momento e del metodo e incide per il 40% sulla qualità dell’olio. É consigliabile raccogliere quando i frutti già invaiati sono tra il 50% e il 70% della produzione e la restante parte non è matura o sta invaiando, cioè quando la buccia tende verso la colorazione rosso vinosa: in questo stadio, le drupe raggiungono il maggior grado di inolizione, quindi la maggiore resa e il maggior tenore in polifenoli, che sono determinanti per la migliore conservabilità dell’olio stesso.
Comunemente si dice che i frutti iniziano ad accumulare olio conclusa la fase di indurimento del nocciolo fino alla metà-fine di ottobre, quando il processo di inolizione rallenta fortemente per arrestarsi a seguito del calo delle temperature.
L’intensità e la tempistica di questo processo, detto di invaiatura, si modifica in funzione di molti fattori: varietà, andamento climatico, carico di frutti.
Un altro indicatore che può essere preso in esame è la durezza della polpa che diminuisce col procedere della maturazione. È noto che parallelamente all’ammorbidimento della polpa si innescano fenomeni ossidativi o comunque peggiorativi della qualità dell’olio.
Inoltre, si ricordi che tanto più le olive rimangono sull’albero tanto maggiori saranno gli effetti negativi su induzione e differenziazione delle gemme a fiore, quindi a scapito della produzione dell’anno successivo: i polifenoli, infatti, difendono l’olio dai processi ossidativi che attaccano gli acidi grassi, evitando la sua ossidazione e il suo successivo irrancidimento. L’olio ottenuto in questo momento, oltretutto, non avrà né sapore di secco, tipico di quando si ritarda la raccolta, né di aspro come quando la si anticipa oltremodo. Inoltre, raccogliendo in questo momento si attenuerà il fenomeno dell’alternanza di produzione, in quanto la raccolta del frutto, per tempo, permetterà alle gemme a fiore di differenziarsi per bene, garantendo la produzione per l’annata successiva.
Rispetto alla raccolta, vi sono indicazioni utili per raccogliere le ulive nel modo migliore.
Sappiamo che la raccolta manuale, con la brucatura, è particolarmente costosa: diventa necessario, quindi, l’uso di macchine agevolatoci con pettini e scuotitori integrati dall’uso di reti.
In ogni caso, è inopportuno raccogliere le olive da terra in quanto potrebbero presentare lesioni ed essere imbrattate. É sconsigliabile, infine, effettuare delle bacchiature all’albero in quanto causerebbero delle ferite alle olive e ai rami dando la possibilità a microrganismi dannosi di accedere all’interno delle piante e del frutto.
Il migliore stoccaggio delle olive lo si ottiene mettendole in cassette a pareti rigide fessurate, che permettano un buon impilamento e un buon arieggiamento durante il trasporto evitando schiacciamenti ed ammuffimenti delle masse. Si dovrà evitare, quindi, l’utilizzazione di grossi sacchi di plastica o peggio ancora di ammassare prodotto sfuso nei camion.
Una volta scelto il sistema di estrazione bisogna accertarsi:
Occorre, quindi, far lavare le olive e molirle subito, sempre e comunque prima di 24 ore dalla raccolta.
Ciò che rimane delle olive dopo la molitura è una sorta di pasta che dovrà per l’appunto essere “impastata” (gramolatura) in modo da favorire la separazione delle molecole di acqua da quelle dell’olio (che si erano emulsionate cioè unite nella frase precedente di molitura).
La gramolatura rappresenta una fase piuttosto lunga (dai 40 ai 60 minuti circa). La pasta deve essere mantenuta ad una temperatura fissata, normalmente attorno ai 27°: è proprio da questa fase che è stato coniato il termine “spremitura a freddo” (per onestà un po’ fuorviante).
L’occhio esperto del frantoiano saprà dire quando la pasta è pronta, cioè quando incominciano ad affiorare sulla superficie della pasta delle goccioline di olio che, unendosi tra loro, diventano ad un certo punto visibili anche ad occhio nudo.
Una curiosità: esistono dei produttori che prelevano (con una certa difficoltà) l’olio che affiora dalla pasta, ottenendo quello che è per l’appunto chiamato “olio affiorato”.
Quando la pasta è pronta viene fatta passare dentro una centrifuga ad asse orizzontale (decanter) che, sulla base dei diversi pesi specifici, separa le parti solide (sansa) da quelle liquide (acqua e olio).
La sansa viene spesso utilizzata per ottenere ulteriormente olio tramite raffinazione (olio di sansa grezzo) oppure come combustibile.
A livello di curiosità si segnala che la centrifuga non è l’unico modo di estrarre l’olio dalla pasta: il metodo antico era quello di inerire la pasta dentro a dei contenitori a forma di disco realizzati con fibre vegetali o sintetiche; il tutto poi veniva sottoposto ad elevate pressioni in modo da far fuoriuscire l’olio. Oggi è sempre più difficile trovare frantoi che utilizzano tale metodo.
Per terminare il processo è necessario separare totalmente l’acqua dall’olio: per farlo si utilizza un altro tipo di centrifuga ad asse verticale. L’olio ottenuto non sarà bello limpido come siamo abituati a vederlo e gustarlo: saranno infatti presenti in sospensione minuscole particelle di materia solida che non si sono completamente disgiunte nelle fasi precedenti. Per sopperire a tale inconveniente, è sufficiente lasciare riposare l’olio per qualche giorno in modo che le particelle si depositino sul fondo. Per motivi puramente estetici è comunque normale prassi filtrare con modalità diverse l’olio in modo da renderlo limpido, così come siamo abituati a vederlo!
Olio Extra Vergine di Oliva finito – Foto: Fulvio Ciccolo
Olio Extra Vergine di Oliva finito – Foto: Fulvio Ciccolo
Quando non si attuano i precedenti consigli l’olio ottenuto può presentare dei difetti, che condizionano la qualità dell’olio. I difetti riscontrabili possono dipendere:
Occorre sapere che la conservazione dell’olio è fondamentale al fine di mantenere inalterate particolarità e peculiarità.
I fattori che possono alterare l’olio sono tre: calore, luce e ossigeno. Di conseguenza, anche ecco 3 regole fondamentali per conservare l’olio extra vergine di oliva:
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