Un altro passo avanti nell’economia circolare, in cui l’Italia ha performance da campione. Il consorzio Biorepack, che è entrato a far parte di Conai, è il primo consorzio al mondo per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica, un’alternativa sostenibile a basso impatto e alte perfomance. La bioplastica, infatti, è biodegradabile, compostabile e rinnovabile
(Rinnovabili.it) – Un’importante new entry nella vasta galassia del riciclo. Biorepack è il settimo consorzio nazionale di filiera che è entrato a far parte di Conai (Consorzio Nazionale Imballaggi), e il primo consorzio al mondo per il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica, un’alternativa sostenibile a basso impatto e alte perfomance. La bioplastica, infatti, è biodegradabile, compostabile e rinnovabile.
Il consorzio Biorepack è stato costituito nel 2018 dai sei produttori e trasformatori di bioplastiche (Ceplast, Ecozema, Ibi Plast, Industria Plastica Toscana, Novamont e Polycart) per gestire la fine vita degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile. Infatti questo materiale, riciclabile con i rifiuti organici, con un trattamento specifico può essere trasformato in compost.
Biorepack garantisce ritiro, recupero e riciclo degli imballaggi in bioplastica. Il consorzio si occupa anche di promuovere il corretto conferimento nella raccolta differenziata: un momento in cui la corretta informazione dei cittadini fa la… differenza. Riciclare la bioplastica è un altro passo avanti nell’economia circolare, di cui l’Italia indossa la maglia del campione europeo.
Quello delle bioplastiche è un settore in crescita con grandi possibilità di occupazione. Per avere un’idea della dimensione del settore guardiamo qualche cifra relativa al 2020: il fatturato della filiera è arrivato a 815 milioni di euro, vi lavorano 2.775 addetti, sono state prodotte 110.700 tonnellate di bioplastiche, 2 milioni di tonnellate di compost dalla frazione organica della raccolta differenziata hanno prodotto un risparmio di 4,3 milioni di tonnellate di CO2 equivalente/anno rispetto allo smaltimento in discarica (dato stimato dal CIC, il Consorzio Italiano Compostatori, per il 2018) e contribuito a immagazzinare nel terreno 375mila tonnellate/anno di carbonio organico con conseguente produzione di 312 milioni di Nm3 di biogas equivalenti a una produzione energetica di 664mila GWh/anno e 100 milioni di Nm3 di biometano.
Il CIC ha anche avviato SIRCLES, un interessante progetto per diventare esperti nel settore dei rifiuti organici dedicato ai giovani NEET di 18-24 anni e persone a rischio di esclusione sociale residenti nei Comuni pugliesi di Alberobello, Locorotondo, Noci e Putignano.
La bioplastica si affaccia al mercato negli anni Novanta con i primi sacchetti compostabili per la raccolta dei rifiuti organici. Nel 2012 entra in vigore il divieto di vendere i sacchetti di plastica e nel 2018 l’obbligo di fornire sacchetti biodegradabili per imbustare frutta, verdura e altri prodotti alimentari.
Biorepack tratta i rifiuti di bioplastica di vario tipo, tra cui: shopper, sacchetti per la vendita di prodotti alimentari freschi, stoviglie monouso, pellicole, buste IV gamma, capsule del caffè, vaschette per il gelato, bottiglie e flaconi. Per rientrare nel circuito Biorepack, la bioplastica deve essere biodegradabile e compostabile certificata UNI EN 13432 e riportare uno dei marchi di compostabilità approvati.
Secondo il Rapporto ISPRA 2020 sui rifiuti urbani, nel 2019 la raccolta differenziata dell’organico umido ha raggiunto 4,6 milioni di tonnellate, superando la carta (3,5) e la plastica (1,5): un valore che rappresenta circa il 40% delle raccolte differenziate domestiche in Italia.
L’Italia sta facendo in un certo senso da apripista, e altri Paesi europei stanno seguendo il suo esempio incrementando l’uso delle bioplastiche. Inoltre, come spiega Marco Versari, presidente di Biorepack, «il riciclo dell’umido diventerà obbligatorio in tutta l’Unione Europea a partire dal 2024, dando un’ulteriore spinta al settore».
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