Le moderne macchine industriali possono ricavare un’enorme mole di dati e anche elaborarli, ma per avere un’efficace servitization è necessario ottenere un reale valore da tali dati. Ci spiega come Maurizio Caporali, Chief Product Officer di SECO
Sono ormai diversi anni che in ambito industriale macchinari dotati di una certa intelligenza permettono di raccogliere dati. Queste macchine possiedono una sensoristica avanzata e ogni sensore può registrare anche migliaia di dati al secondo. Si genera così una mole enorme di informazioni che bisogna gestire e archiviare e ciò comporta dei costi. Va quindi da sé che la data monetization sia un tema di grande importanza per molte aziende.
Tra le opportunità offerte dalla data monetization, sono sempre di più le aziende che scelgono di monetizzare i loro dati attraverso la servitizzazione, ovvero adottando un modello di business incentrato non più (o non solo) sulla vendita di un bene/prodotto, ma sulla fornitura di un servizio funzionale all’uso del prodotto da parte del cliente.
Ma a che punto siamo oggi con la servitization? Abbiamo cercato di fare un po’ di chiarezza sull’argomento parlandone con Maurizio Caporali, Chief Product Officer di SECO, azienda che da oltre 40 anni opera nell’ambito dello sviluppo di microcomputer embedded, sistemi integrati e soluzioni per AI e IoT.
“Molto spesso, per mancanza di adeguate competenze, è complesso sviluppare questi servizi direttamente all’interno dell’azienda che ha una produzione industriale – afferma Maurizio Caporali –. Allestire un team interno ad hoc composto da data scientist, data engineering e analisti del business, che sappia individuare il vero valore dei dati raccolti per poi creare dei servizi, è certamente un’opzione, ma richiede un investimento molto importante”.
Se però non si dispone delle competenze necessarie esiste una seconda opzione. “Per fare data servitization – prosegue Caporali – le imprese hanno la possibilità di affidarsi ad aziende specializzate, che avendo un team interno dedicato sono in grado di individuare il valore dei dati e trasformarlo in un servizio immediatamente attivabile. Questo permetterà di portare al cliente una soluzione già pronta e molto più rapida da fruire, da cui trarre subito dei benefici, in linea con il modello “as a Service”. In questo modo, non si devono creare team e non si devono fare cospicui investimenti”.
Maurizio Caporali evidenzia che “passare dalla data monetization alla servitization può comportare un radicale cambiamento del modello di business. Tradizionalmente, un produttore che realizza una certa soluzione industriale è abituato a vendere un insieme di hardware e software, che serve per il controllo di base della macchina stessa. La servitizzazione, ovvero l’aggiunta di un servizio che si va a legare all’hardware, può fare estendere il business da una logica B2B fino al B2C con quello che ne consegue in termini di processi e strategie”.
Un esempio arriva dall’automotive. I produttori tradizionalmente operano nel mercato B2B perché i loro clienti sono i rivenditori di auto, le concessionarie. Tuttavia, oggi possono rivolgersi al mercato B2C attraverso, per esempio, i servizi di noleggio a breve termine delle flotte auto. In questo caso al mercato B2C non offrono direttamente il loro prodotto, ma un servizio in abbonamento legato al prodotto stesso.
Un aspetto fondamentale della servitization, soprattutto dal punto di vista di un OEM, è che permette di fornire servizi a valore aggiunto nel supporto e nell’assistenza ai macchinari. “Uno dei problemi principali, per un’azienda, è il fermo macchina – sostiene Maurizio Caporali –. Se il servizio fornito va nella direzione della manutenzione predittiva e proattiva, ha un importante impatto su supporto e assistenza. Si può infatti intervenire prima che la macchina si fermi e, qualora ci fosse comunque un blocco dovuto a un guasto, si saprebbe dove e come agire per riattivare il macchinario. Si possono anche ottimizzare i tempi per l’arrivo di un pezzo in sostituzione”.
I servizi citati sono una sorta di primo livello di servitization. Ma esistono anche servizi più avanzati. Si può dare valore ai dati di produzione per arrivare direttamente ai clienti o creare nuovi modelli di business legati alle macchine. In questo senso, un modello interessante già applicato in molti settori consiste nel far pagare il servizio reso disponibile attraverso la macchina, ma non la macchina stessa. Ciò accade, per esempio, con le stampanti: l’utente non acquista la macchina, bensì il servizio di stampa erogato attraverso di essa. In questo modo, non deve più occuparsi di assistenza e manutenzione e non ha bisogno che un tecnico dell’IT se ne occupi.
Questo modello viene applicato anche in diversi altri settori, come il Food & Beverage. “È il next step dell’innovazione portata avanti dalla data servitization”, sottolinea Maurizio Caporali. Per raggiungerlo bisogna dotare di intelligenza hardware la macchina, cioè inserire al suo interno un computer e una sensoristica avanzata. Questa può rilevare svariati parametri e permettere un controllo degli stati della macchina stessa dal punto di vista gestione consumi, programmazione o anomalie di funzionamento.
“Come SECO – precisa Maurizio Caporali – rendiamo disponibile la parte computazionale e di intelligenza per gestire i dati sia direttamente sulla macchina, sull’edge, sia sul cloud attraverso la piattaforma Clea. In pratica, abilitiamo il trasferimento dei dati dal campo sul cloud. E questo è tutto disponibile “as a Service”. In aggiunta, forniamo delle applicazioni basate su intelligenza artificiale e machine learning. Queste possono essere installate sia nelle macchine, se la potenza di calcolo ne consente l’utilizzo, sia sul cloud per ottenere dati più aggregati”.
In tutto questo, però, è fondamentale l’apporto che può dare l’esperienza di chi lavora nel settore e conosce i dati e le informazioni che la macchina può fornire. È perciò necessario lavorare insieme all’azienda che produce il macchinario per individuare il valore da ricavare da quei dati. “Noi – aggiunge Maurizio Caporali – poi abilitiamo la possibilità di estrarre quel valore e fornire il servizio. Aiutiamo l’azienda a gestire i propri dati e a creare un servizio efficace”.
La gestione remota e smart della manutenzione e refill di dispositivi distribuiti sul territorio ha un ruolo fondamentale per poter andare nella direzione della servitizzazione. Per esempio, i device impiegati nelle vending machine, coffee machine, nei sistemi per il digital signage e per il pagamento, biglietterie e chioschi interattivi integrano capacità computazionali sempre maggiori. “Nel giro di un paio d’anni – dice Maurizio Caporali –, si potrebbe riuscire addirittura a contare i fogli di carta asciugamani contenuti nei distributori che si trovano nei bagni, per avere informazioni che ci permettono di portare servizi innovativi come il refill o il mantenimento. Ma anche capire come cambiano i consumi per avviare automaticamente il rifornimento e l’acquisto di nuovi materiali. Ogni dispositivo ha la sua particolarità, ma tutti possono trarre dei vantaggi dalla data servitization”.
“Il punto fondamentale per la servitizzazione – conclude Maurizio Caporali – è individuare il servizio che fornisce valore. Posso abilitare il mio macchinario a essere intelligente, ma se non trovo il valore non avrà più senso ricavare e mantenere i dati. Questo è il punto di partenza, cioè il concetto di data servitization. Ed è anche la base del vantaggio che SECO può fornire a un’azienda attraverso Clea, per permetterle di avere un ritorno economico concreto grazie ai propri dati”.
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