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I resti delle tre prostitute chiusi nei sacchi della spazzatura furono trovati tra l’agosto 2007 e l’aprile 2008. Le indagini, ancora aperte, non hanno ancora portato all’identificazione dell’assassino
Il delitto perfetto non esiste; semmai esistono indagini incomplete non per forza causate dall’errore umano. Ciò premesso, l’assassino o gli assassini di Luminita, Jonela e Silvia sono impuniti. Da quasi quindici anni. Il profilo delle vittime (tutte prostitute), le modalità dell’uccisione (i cadaveri torturati e nascosti in sacchi dell’immondizia buttati nei boschi), e le geografie (le ragazze si vendevano intorno alla strada provinciale Novedratese, in provincia di Como, mentre i corpi vennero scoperti nel Lecchese), avevano evocato l’ipotesi di un serial killer, scenario al solito più mediatico che investigativo in quanto ai serial killer i magistrati tendono a credere poco o per niente, s’ignora se per cultura, diffidenza verso altri approcci criminologici e di profiling (ad esempio la scuola americana), oppure per ragionevoli certezze come sembrerebbe in questa inchiesta dei carabinieri.
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La 18enne Luminita Dan, la 20enne Jonela Dragan e la 24enne Silvia Demciuc furono ammazzate nell’arco di otto mesi, tra l’agosto 2007 e l’aprile 2008. Le prime due insieme, l’altra più tardi perché forse sapeva e aveva confidato informazioni relative a quei delitti. Si disse e scrisse all’epoca, pur nello scarso interesse generale — una consueta aberrante reazione pubblica dinanzi all’uccisione di una prostituta, sottintendendo che in fondo se l’è andata a cercare —, ecco si disse e scrisse all’epoca che Silvia fosse una confidente della polizia. Se lo era, più d’uno commisse il tragico, imperdonabile errore d’averla esposta e non protetta, e dunque avrebbe dovuto pagare. Non risulta sia avvenuto, il che non esclude ovviamente possa essere successo. Era notorio che la medesima Silvia, romena laddove Luminita e Jonela erano moldave, conoscesse le prime due vittime; ed era plausibile ipotizzare, anche se non mancarono fisiologici silenzi e depistaggi nel timore di vendette, che le ragazze fossero delle schiave gestite dalle bande albanesi. E le bande, in quel periodo storico ancora di affermazione criminale — ormai oggi trattano alla pari con i narcotrafficanti e la ‘ndrangheta —, monopolizzavano il racket dello sfruttamento, specie nel Comasco. C’erano loro e soltanto loro, spietati e seviziatori.
Il figlio di pochi mesi
Ebbene, la medesima forma embrionale della delinquenza albanese generava continue lotte intestine, in una contesa sanguinaria che ricordava le faide calabresi. Tenendo come base questo scenario, Luminita, Jonela e Silvia, considerate e trattate come oggetti, come merce, come macchine da soldi, sarebbero state eliminate per sgarbo nei confronti di un gruppo rivale. A meno che potrebbero esser state le storie personali a introdurre l’epilogo. Nonostante la giovanissima età, Luminita era diventata mamma da poco. Possibile avesse manifestato l’intenzione di smettere con quell’esistenza di dolore e sopraffazioni (stupri di gruppo nel caso di proteste, catene, giorni senz’acqua né cibo, sulla strada anche con la febbre alta), e ne avesse parlato, magari con Jonela, pregandola di tacere. Forse Jonela stette sì zitta, ma parzialmente, lei pure manifestando, a Luminita o altre giovani, propositi di fuga. Siccome la cessazione delle prestazioni sessuali non era contemplata, le donne pagarono con la vita quello che gli albanesi consideravano peggio di un affronto: alzare voce e testa. Non è escluso — capita più di quanto si pensi — che Luminita, Jonela e Silvia si raccontarono a qualche uomo che le pagava per appartarsi in macchina, cercando un disperato contatto che potesse condurle a un’associazione di aiuto se non alle forze dell’ordine, e che quelli, gli uomini, se ne fregarono mollandole al loro destino. Ma in ogni modo: per quale motivo quei boschi nel Lecchese? Per quale motivo, se Luminita, Jonela e Silvia sostavano alle rotonde della Novedratese e lì vennero uccise, trasportarle da un’altra parte?
Perché gli omicidi sono caduti nell’area del Lecchese, dove le bande avevano le basi logistiche e gli appartamenti usati per tenere prigioniere le ragazze. La risposta non ha mai convinto gli inquirenti. E allora, resettando la pista degli albanesi e tornando a quella di un serial killer, forse costui aveva dimestichezza del territorio lecchese in quanto zona di residenza, di una seconda casa, di spostamenti per lavoro oppure legati al lavoro stesso. Le prostitute sono, per antonomasia, le vittime più scelte dai seriali (sole, indifese, fragili, esposte), e non c’è bisogno di ricorrere a illustri precedenti come Gianfranco Stevanin e Donato Bilancia per rinforzare il concetto; vero, com’è stato sostenuto, che dopo le tre ragazze l’eventuale sequenza dell’eventuale killer s’è interrotta; ma rimane una verità parziale, ignorando noi spesso, e non è detto che lo si venga mai a sapere, le prostitute che spariscono poiché ammazzate. Una delle specificità aggiuntive di un seriale è quella di evitare l’arresto. Anzi, di star perfino lontano da ogni possibile sospetto, perseverando nella propria anonima, apparentemente pacifica e innocua esistenza. Anonima, pacifica e per davvero innocua era l’esistenza di mamma e papà di Luminita: prima dell’epilogo, lei era stata dai genitori in Romania a presentare il neonato, e forse per annunciare che presto sarebbe rimpatriata. Il marito, con precedenti di polizia per prostituzione, scappò in Spagna, destando evidenti sospetti. Lo trovarono ma non lo collegarono né al delitto né ai delitti. Libero.
In questa pagina tutte le storie di Giallo Padano.
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