Il meccanismo della cerniera è stato concepito solo a partire dalla metà dell'Ottocento, assumendo poi forma definitiva tra il 1913 e il 1917, grazie all'ingegnere svedese, naturalizzato statunitense, Gideon Sundbäck (1880-1954), che ne ultimò la messa a punto e ne depositò il brevetto con il nome di Separable Fastener (chiusura separabile). Eppure, per molto tempo l'umanità ha dovuto fare a meno di questa tecnologia in apparenza così semplice.
lacci, spille e bottoni. Prima che arrivasse la carniera, l'essere umano non aveva certo rinunciato alla possibilità di unire due lembi di tessuto in modo provvisorio, senza doverli cucire; si trattasse di chiudere una veste, una tenda o un paio di calzature. Per molto tempo si ricorse a cordini e lacci di cuoio, affiancati poi da fibbie metalliche, spille e bottoni (da infilarsi in un'asola o in un piccolo "cappio" di tessuto, detto alamaro). L'evoluzione di questi pratici quanto economici strumenti, cominciata in epoca preistorica, proseguì gradualmente nell'antichità continuando poi tra il Medioevo e l'Età moderna, quando essi, realizzati in molteplici fogge (bottoni soprattutto) e con materiali preziosi, conobbero notevoli fortune tra le classi alte.
Una svolta storica, nel campo della chiusura dei tessuti, giunse nell'Ottocento grazie a ben due novità. La prima, nel 1851, fu un prototipo di cerniera lampo messo a punto dall'inventore statunitense Elias Howe (1819-1867), noto anche per il contributo dato allo sviluppo della macchina da cucire. Nello specifico, brevettò un sistema di chiusura per abiti consistente in una fila di gancetti che, fissati su un lembo di tessuto, si incastravano su appositi alloggi cuciti su un secondo lembo. Questo meccanismo, mai messo in commercio (era fragile e costoso da produrre), fu migliorato dall'ingegnere Whitcomb Judson (1812- 1909), anch'egli americano. Nel 1893 Judson depositò il brevetto di una chiusura a scatto (Clasp-Locker) in cui una serie di uncini, disposti in fila, s'inserivano in altrettanti occhielli collocati su una fila opposta, attraverso l'uso di un piccolo congegno scorrevole.
Svolta ottocentesca. Questo strumento, presentato all'Esposizione universale di Chicago e migliorato in seguito, non conobbe grande diffusione, ma cominciò comunque a trovare applicazione in alcuni modelli di borse e scarpe. Nel frattempo, si affermò una novità nel mondo dei bottoni. Nel 1885, per merito dell'inventore tedesco Heribert Bauer, erano infatti nati i bottoni a pressione, consistenti in due dischi metallici (poi anche in plastica) dotati l'uno di una protuberanza e l'altro di una cavità (così il primo, con una leggera pressione, s'incastra nel secondo). Messi in commercio all'inizio del XX secolo, non tardarono a mietere successi, ma in parallelo riprese pieno vigore la progettazione delle cerniere lampo.
Dopo una serie di accurati studi, a perfezionare definitivamente la zip fu dunque Gideon Sundbäck, che nel 1913 ultimò un prototipo in cui i dentini erano maggiormente "uncinati" rispetto ai modelli passati, e anche più numerosi. Oltre a ciò, Sundbäck ebbe l'idea di fissare la cerniera lampo su due nastri, da cucire a loro volta sui capi d'abbigliamento. Ulteriormente affinato, il meccanismo fu quindi brevettato nel 1917, trovando immediata applicazione nelle divise dei marinai americani.
Cerniera, zip o zipper. In sintesi, nella sua forma definitiva, la chiusura lampo presenta due fettucce con fissati sopra dentini metallici o plastici in grado d'incastrarsi alla perfezione uno sull'altro e di liberarsi altrettanto facilmente. Il tutto, grazie allo scorrere di un cursore – con relativo gancetto dotato di piccoli stop per impedire aperture involontarie – la cui struttura a Y consente di schiacciare i dentini tra loro o, viceversa, di distanziarli.
Di decennio in decennio, questo sistema – ribattezzato zip, o zipper, a partire dagli anni Venti, con evidente origine onomatopeica – è andato quindi incontro a un crescente boom cavalcato da numerose aziende. Una su tutte: la giapponese YKK (acronimo di Yoshida Kogyo Kabushikigaisha, onnipresente sulle zip di tutto il mondo), attiva dal 1934 e tuttora leader del settore, con oltre due milioni di km di cerniere lampo prodotti ogni anno.
Dal secondo dopoguerra, la zip ha tenuto fieramente testa alla concorrenza dei pur intramontabili bottoni (divenuti anche magnetici) nonché della nuova chiusura a strappo, progettata negli anni Cinquanta dall'ingegnere svizzero Georges de Mestral, fondatore dell'azienda Velcro. Un sistema che prevede l'incastro di due lembi di tessuto, uno ricoperto da una fine peluria e l'altro da micro uncini di nylon.
per le tute degli astronauti. A dispetto dei suoi competitor, la chiusura lampo ha continuato la sua ascesa, apprezzata da molti stilisti, anche a vista. Negli anni Cinquanta, la zip ha sedotto la Nasa, che ne ha sviluppato per un periodo alcune versioni per le tute dei propri astronauti (utilizzatori anche del velcro, fin dalle missioni Apollo). I successi sono quindi proseguiti per il resto del secolo e poi nel terzo millennio. Attualmente sono allo studio cerniere lampo microscopiche da usare in campo chirurgico, come alternativa ai tradizionali punti di sutura.
Si fa presto a dire seno. Tutte le donne, chi più chi meno, ce l’hanno, ma non tutte lo esibiscono allo stesso modo. Perché il décolleté, come racconta anche Marzo Magno nel suo libro Con stile (Garzanti) nei secoli è stato soggetto alle mode. Castigate e austere nel Medioevo, perbeniste e moraliste negli anni della Controriforma e della successiva dominazione spagnola e libertarie con un pizzico di trasgressione nel Secondo Dopoguerra: reazione naturale al ventennio fascista che voleva la donna madre, moglie e al massimo sorella. Ecco come è cambiato il modo in cui le donne hanno esibito la loro femminilità, ostentando o nascondendo scollature e rotondità.
FASCIATO. Nell’antica Grecia era ritenuto poco raffinato lasciare il seno ballonzolante sotto le tuniche. Anche per questo le donne lo fasciavano con strisce di stoffa, dette mastodeton. Incredibilmente nell’800 questo nome è stato recuperato e utilizzato per definire gli elefanti preistorici: un naturalista francese vedeva infatti una strana somiglianza tra i molari di questi animali e le mammelle femminili.
DONNA VERGA. Le donne romane non tenevano granché alle loro rotondità. La loro ambizione era esibire una figura il più possibile longilinea e slanciata. Come le donne greche anche quelle romane fin dagli anni della Repubblica, amavano fasciarsi il petto con strisce di stoffa suscitando anche qualche commento malevolo: si dice che il poeta Terenzio non apprezzasse affatto la moda della “donne secche” che - a sentir lui - a forza di diete «si riducono simili a veri fasci di verghe». La fasciatura per il seno era esibita anche pubblicamente dalle atlete che si dedicavano ad attività sportive.
TIMORATE DI DIO. Gli antichi romani trovavano di pessimo gusto il seno floscio delle donne barbare, il Medioevo invece lo ritiene accettabile. O meglio, con le invasioni barbariche e l’affermarsi del cristianesimo le donne fanno tutto quello che le loro antenate romane non avrebbero mai fatto: lasciano il seno libero sotto la veste o la tunica. Per almeno 100 anni le donne si dimenticano di avere una femminilità... almeno fino all’anno Mille. L’età della rinascita porta invece a una riscoperta del décolleté: si usano abiti attillati e le donne cominciano a indossare un corpetto, prima allacciato sopra la veste, poi sotto, in modo che sostenga e alzi il seno.
DONNE CONO. Nel Rinascimento si diffonde la moda della “donna cono”: dalla vita in su la donna deve apparire come un cono, stretta in basso e più larga in alto, con il seno che in questo modo viene spinto all’insù, valorizzato da corpetti sempre più rigidi. In un trattato di cosmetica del Cinquecento si riportava: “Le mammelle che piacciono più che l’altre sono le picciole, tonde, sode e simili a due rotondi e belli pomi. Vogliono alcuni che elle non siano troppo attaccate, né troppo picciole”.
AUSTERITY. Sul finire del Rinascimento nel nostro Paese si affermano i costumi spagnoli. Per le strade si incontrano donne vestite con abiti di colore nero e sempre più accollati. Nulla del corpo femminile deve trasparire né tantomeno essere ostentato.
RIVOLUZIONARIE. La rivoluzione francese libera definitivamente il corpo femminile. Il diffondersi degli ideali illuministici che considerano uomini e donne uguali, lasciano spazio a una nuova estetica borghese. E anche a qualcosa di più libertario: nell’autunno 1795 le cronache raccontano che Teresa Cabarrus – nota come Madame Tallien e protagonista assoluta della vita mondana parigina del tempo - si presentò al ballo dell’Opéra indossando una tunica di seta smanicata «priva di qualunque indumento intimo, sfoggiando anelli alle dita e sandali ai piedi». In un’altra occasione si mostrò invece col seno coperto solo da una reticella di diamanti.
MODELLO SISSI. La regina per antonomasia dell’Ottocento è stata l’imperatrice Elisabetta d’Austria che ha incarnato l’ideale di bellezza femminile dei tempi. Abitualmente si strizzava dentro corsetti strettissimi che le valorizzavano il vitino da vespa che la rese leggendaria.
L’ETA DEL REGGISENO. La data ufficiale di nascita del reggiseno è il 12 febbraio 1914. Fu allora che Mary Phelps Jacob, conosciuta con lo pseudonimo di Caresse Crosby, brevettò nello stato di New York il suo reggiseno chiamato anche brassiere. Addio corsetti irrigiditi da stecche di balena e copri-corsetto che appiattivano e pigiavano le mammelle. Ora il seno è finalmente custodito da un comodo reggiseno!
ADDIO DONNE BASTONE. Superato il periodo della Belle epoque dove la donna amava essere androgina e “maschietta”, si impone un nuovo canone imposto dal regime mussoliniano che la vuole la madre, figlia, al massimo sorella. Il seno secondo lo spirito dei tempi dev’essere carnoso, giunonico, come si addice a una vera nutrice. Nel 1933 Il giornale della dama dettò la linea: «Bandire dalle case fasciste i giornali di moda francesi, esaltatori della donna bastone»
MAGGIORATE. Negli anni Cinquanta vanno di moda le supermaggiorate: Silvana Pampanini, Gina Lollobrigida, ma soprattutto Sofia Loren diventano icone di stile. Sarà lei nell’Oro di Napoli a impastare la pizza esibendo un decolletè da cinema. Chi ha il seno piccolo lo esalta con reggiseni a balconcino, chi lo ha grande usa reggiseni che sostengono, meglio se senza coppe, in modo che si veda di più.
ANNI ’80. Nel decennio Ottanta sono di moda i seni pronunciati. Il fisico, meglio se muscoloso e sportivo, è esibito come un trofeo. Brigitte Nielsen e Stéphanie di Monaco diventano trend setter e i reggiseni ammiccanti si alternano alle canottiere aderenti, talvolta portate senza reggiseno. Il tutto per esaltare il pettorale rinforzato in palestra (o il lavoro del proprio chirurgo estetico).
La vita straordinaria di Rita Levi-Montalcini, l'unica scienziata italiana premiata con il Nobel: dall'infanzia dorata alle leggi razziali, dagli studi in America ai legami con una famiglia molto unita, colta e piena di talenti. E ancora: l'impresa in Antartide di Ernest Shackleton; i referendum che hanno cambiato il corso della Storia; le prime case popolari del quartiere Fuggerei, ad Augusta; il mito, controverso, di Federico Barbarossa.
Tutto quello che la scienza ha scoperto sui buchi neri: fino a 50 anni fa si dubitava della loro esistenza, ora se ne contano miliardi di miliardi. Inoltre, come funziona la nostra memoria; l'innovativa tecnica per far tornare a camminare le persone paraplegiche; la teconoguerra in Ucraina: quali sono le armi tecnologiche usate.
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