Dmytro Ovad Dmytro Ovad, 21 anni, studente all’università di Padova, viveva a Vicenza con la madre. Sabato è partito per l’Ucraina e si è arruolato. Dmytro aveva già spiegato le ragioni del suo gesto. Dal primo marzo scrive un diario dal fronte per i lettori del Corriere del Veneto.
Io e un mio amico siamo stati nella caserma di arruolamento che si trova poco fuori Nizchi Lubyanki, il mio paese, nell’Ucraina occidentale . C’era una fila interminabile di uomini e donne, dai 30 ai 40 anni , che si offrono come volontari per andare al fronte. È come se tutti volessero dare il proprio contributo per difendere il Paese. L’obiettivo è evidente: occorre respingere le truppe di Putin prima che arrivino anche in questa regione , tra le nostre case. Una signora chiedeva i documenti e lo stato di salute di ognuno. Ci siamo fatti avanti ma ci è stato spiegato che per il momento i giovani vengono tenuti lontani dalle zone di guerra: adesso c’è bisogno di soldati già formati, gente con esperienza di combattimento. «Il vostro turno verrà più avanti », ci hanno assicurato. Non resta che aspettare. In attesa di capire quando sarà possibile arruolarsi, con il mio amico abbiamo deciso di entrare nei «Gruppi di difesa delle città », che sono dei team di volontari, alcuni dei quali armati, che hanno il compito di proteggere il territorio tenendo alla larga gli infiltrati russi. Il ritrovo era in una cantina, e da lì un poliziotto ci ha accompagnati alle porte del paese per istruirci su come allestire un nuovo posto di blocco lungo la strada principale che collega Ternopil a Kiev. Siamo una ventina di volontari, e a ciascuno verrà affidato un compito diverso. Occorre montare delle strutture di metallo e installare i blocchi di cemento che dovrebbero impedire, o per lo meno rallentare, il passaggio dei blindati nemici . Il poliziotto ci ha anche spiegato che dovremo preparare circa duecento bombe molotov che poi verranno nascoste lì vicino , pronte per essere utilizzate all’occorrenza. Cominceremo subito: l’allestimento dei posti di blocco è un compito delicato ma fondamentale , che ci terrà occupati per qualche giorno. Intanto sono stato assegnato al mio primo servizio di ronda: in cinque per auto, assieme a un volontario armato con un fucile da caccia, abbiamo perlustrato le strade della città fino a notte fonda. L’obiettivo è tenere alla larga gli uomini - tra loro anche traditori ucraini - al soldo dei russi che, per poche decine di dollari, si aggirano sui tetti segnando gli obiettivi sensibili con delle croci fatte con colori facilmente individuabili dagli aerei e dai droni nemici. Episodi simili sono stati segnalati in diverse città, occorre impedire che si verifichino di nuovo. Mentre giravamo in macchina Nizchi Lubyanki era buia e deserta: c’è il coprifuoco e nessuno, a parte i Gruppi di difesa, si azzarda a uscire. Qui fa freddo, nevica . E questo rende tutto un po’ più faticoso.
Il viaggio dal Veneto all’Ucraina è stato stressante anche per via degli aggiornamenti, sempre peggiori, che mi arrivavano via Telegram . Sono salito sul pulmino sabato mattina, dopo aver incontrato il prete che guida la comunità di miei connazionali che, come me, abitano a Vic enza . Mi ha benedetto, mi ha regalato una croce e una Bibbia. E poi siamo partiti : io, i due autisti, e cinque donne intenzionate a strappare i propri figli dal teatro di guerra per portarli in Italia. Abbiamo impiegato trentasei ore per arrivare a destinazione. All’alba abbiamo raggiunto il confine polacco: la parte più critica di questa nostra traversata . La situazione, lì, è drammatica: dal lato ucraino ci sono quasi quaranta chilometri di auto incolonnate .Gente in fuga, che carica in auto quelle poche cose che intende salvare e si dirige alla frontiera . Al volante, in genere, ci sono gli uomini. Al loro fianco la moglie e dietro i figli. Rimangono imbottigliati per giorni, in attesa di coprire quelle poche decine di chilometri che li separano dalla frontiera. Nel frattempo sopravvivono come possono, dormendo nei sacchi a pelo e accendendo il fuoco nei bidoni per riscaldarsi . E quando finalmente arrivano a destinazione, donne e bambini entrano in Polonia mentre il capofamiglia torna indietro , per andare a combattere. Dalla parte opposta la situazione non è molto diversa per chi —amici e familiari che vivono all’estero — attende i rifugiati per portarli lontano, al sicuro. La situazione è drammatica e c’è molta tensione. Quando una delle signore che viaggiavano con me ha tentato di riprendere con il telefonino una famiglia in fuga , un soldato è accorso, puntandoci contro il fucile: temeva fossimo delle spie russe. Entrati in Ucraina, ci siamo lasciati alle spalle le colonne di auto per dirigerci in un paesino che dista 25 chilometri da Ternopil : è qui che sono cresciuto fino all’età di 10 anni, prima di raggiungere mia madre in Italia. Da Vicenza abbiamo portato le medicine che i miei connazionali sono riusciti a raccogliere in questi giorni : beni preziosi, che abbiamo subito consegnato alle autorità . La situazione appare tranquilla, anche se all’ingresso dell’area metropolitana ci sono dei posti di blocco: si può entrare soltanto mostrando i documenti e pronunciando «Palanyzua» , che vuol dire crepes e che i russi, per quanto si esercitino, non riescono a pronunciare correttamente. È un modo come un altro per evitare che nei quartieri si infiltrino nemici «travestiti» da ucraini . Sul telefonino mi arriva un messaggino: c’è un allarme missili in arrivo . Occorre spegnere le luci per evitare di trasformare la propria abitazione in un facile obiettivo. Il buio fa paura, ma aiuta a proteggerci.
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